Il Bonaparte, che fu il massimo artefice di tali vicende, quali che siano stati gli errori, le involuzioni e le contraddizioni della sua politica, tracciò una strada « sulla quale camminerà tutta la storia del Risorgimento italiano nel suo processo ideologico, politico, sociale, civile e culturale, col suo carico di delusioni e di speranze » (C. Zaghi)
Introduzione
Da Carlomagno in poi, gli imperatori romani erano stati tutti re d'Italia. Napoleone - scrive il Lefebvre - doveva dunque esserlo anche lui. Già nel maggio del 1804. quando in Francia, sotto le minacce di assassinio provenienti dai congiurati realisti, le varie assemblee si pronunciarono a favore dell'Impero ereditario. Napoleone aveva fatto conoscere al Melzi, vicepresidente della Repubblica Italiana, la sua volontà di trasformare in senso monarchico anche le istituzioni repubblicane italiane. Va detto che nel periodo repubblicano vi erano stati vari punti di attrito fra il Melzi e Napoleone, a partire dal Concordato fino al contrasto di fondo fra i due, provocato dalla visione «nazionale» che ispirava il Melzi nella guida del nuovo Stato, per il quale desiderava una sempre maggiore indipendenza nei confronti della Francia, tanto da cercare di controbilanciare la preponderanza francese, sottoponendo all'Austria quello strano progetto di riunificazione dell Italia del Nord sotto lo scettro dell'ex granduca di Toscana. Questo precetto doveva creare tand sospetti in Napoleone ed affrettare la sua decisione di governare m maniera più diretta sull'Italia del Nord. Ma, certamente, il passaggio della Repubblica al Regno (18 marzo 1805), insieme con l'allontanamento del Melzi dalla direzione degli affari e con la fine dell'esperienza «nazionale», da questa tentata nello spirito dei Comizi di Lione, fu un fatto di così grande importanza nella storia della dominazione napoleonica in Italia che non si può spiegare come un frutto del malumore del Bonaparte nei confronti del Melzi, oppure con il desiderio dell'imperatore di imitare Carlomagno, ma va spiegato inserendo tale trapasso nella logica di una politica imperialistica ed egemonica ormai realisticamente e spietatamente perseguita da Napoleone. Mentre dopo Amiens e Luneville (1801), il Bonaparte cercava di fare della Cisalpina, risorta e restaurata, la chiave di volta per la pace con gli Asburgo, ed accentrava la sua attenzione sull'ltalia proprio per tranquillizzare le monarchie europee, dopo Austerlitz (2-10-1805), il centro di gravità della politica napoleonica si spostava decisamente verso l'Europa continentale e la Germania. E questo Napoleone faceva non solo per motivi di prestigio o di espansionismo, ma anche per quei motivi di difesa nazionale che aveva ereditato dalla politica del Direttorio.
Le aspirazioni unitarie italiane deluse e bloccate dalla politica napoleonica
In un sistema, che doveva servire alla politica egemonica napoleonica di cui la penisola non era una semplice pedina da utilizzare supremo della Francia e non ci poteva più essere posto per le aspirazioni indipendenti c’è unitarie degli italiani nel limite molto vago e ristretto in cui esse si conciliavano con esigenze superiori di Parigi.
Nel 1805, quindi, la Repubblica Italica si mutava in Regno d'Italia e il 26 maggio Napoleone cingeva la corona ferrea, pronunciando le note parole: «Dio me l'ha data, guai a chi la tocca!». Egli stesso nominava viceré il figliastro Eugenio di Beauharnais. Da quel momento, il Regno entrò a far parte degli stati vassalli dell'Impero francese. Continua a leggere per conoscere:
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