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Indovinello veronese (lavori in corso)

La lingua italiana deriva dal latino volgare. Il latino, infatti, presentava anticamente due forme: quella letteraria, usata dalle persone colte e di condizione sociale elevata; e quella volgare, usata dal popolo.


Nel II sec. d.C. Roma aveva unificato il suo immenso impero anche da punto di vista linguistico. Quello che si parlava era, appunto, il latino volgare, che a contatto con le lingue dei popoli conquistati iniziò a subire delle contaminazioni e delle alterazioni.

Con la caduta dell’Impero Romano sotto i colpi delle invasioni barbariche, i vari tipi di latino volgare si trasformarono così profondamente da dar vita a nuove lingue. Ebbero così origine le lingue neolatine, cioè nuove latine o romanze, ovvero parlate nei territori un tempo soggetti a Roma. Ci si riferisce all’italiano, al francese, al provenzale, allo spagnolo, al catalano, al portoghese, al romeno, e al ladino (parlato ancora oggi in alcune vallate alpine della Svizzera, dell’Alto Adige e del Friuli).

Malgrado le invasioni barbariche, in Italia il latino rimase più vivo che altrove. Ma con il tempo si frantumò in tante parlate diverse. Nacquero così i tanti dialetti, chiamati ”volgari”, nel significato di ‘‘lingue di uso comune” rispetto al latino scritto, ormai conosciuto solo da pochissime persone.

LE LINGUE ROMANZE SI INIZIARONO A PARLARE MOLTO PRIMA DI QUANDO SI INIZIARONO A SCRIVERE. MA NOI ABBIAMO SOLO TESTIMONIANZE SCRITTE. QUALI SONO LE PRIME TRACCE DELL'ESISTENZA DI UNA LINGUA ROMANZA PARLATA?




L'interpretazione del più antico documento scritto in un volgare italiano iniziò nel 1924, quando il paleografo Lui­gi Schiapparelli, che stava lavorando sul corpus di un prezioso codice della Biblioteca Palatina di Verona, il Ms. LXXXIX, un orazionale mozarabico scritto in caratteri visigoti, diede la trascrizione delle quattro scritte ritrovate su un foglio di guardia (sulla pagina 3R per la precisione) del manoscritto in un articolo pubblicato nell'Archivio storico italiano, VII, 1 (1924)

L'articolo suscitò un grande interesse, del quale Schieparelli forse non aveva avuto piena coscienza, Il Paleografo stava studiando i fogli di guardia perché era interessato alla storia e agli spostamenti che era riuscito a ricostruire quasi completamente:
Schiepparelli già nel 1924 aveva individuato che:

  • il libro, scritto in Spagna per la chiesa di Toledo, probabilmente lasciò la penisola iberica poco dopo la conquista araba del Regno di Toledo (711)
  • era arrivato Cagliari, dove al f. 1 fu aggiunta in corsivo la sottoscrizione: Flavius Sergius bicidominus sancte ecclesie Caralitane (evidente riferimento a Cagliari).
  • Qualche tempo dopo doveva essere a Pisa (a f. 3v è annotato in scrittura corsiva diversa dalla precedente: Maurezo canevarius fideiussor de anfora vino de Bonello in XX anno Liutprandi regis (l’anno 20° di Liutprando è il 732 e Mauricius è documentato a Pisa nell’anno 730). 
  • Durante il secolo VIII il manoscritto mozarabico doveva essere già arrivato a Verona, come dimostrano le prove di penna ai ff.4, 112v e soprattutto il celebre indovinello veronese scritto in alto al f. 3r , al quale è attribuita una straordinaria importanza, perché costituisce l’esempio più antico di espressione volgare su libro. 
  • Altra prova di penna in caratteri visigotici del sec. VIII si trova a f. 9: Giso presbiter.
    Sul f. 112 è una prova di penna in scrittura carolina del sec. IX: In nativitate Sancte Natalie
  • Il codice fu poi restaurato presso la Biblioteca Vaticana per munificenza di papa Pio XI. 

Da allora, filologi e linguisti non hanno cessato di formulare questioni e congetture, in particolare sul grado di volgarismo cosciente del breve testo, sul suo eventuale colorito veneto-friulano, sulla sua struttura in esametri o altro metro.
Inizialmente la comprensione del testo non era chiara e anche la trascrizione era dubbia. Si sono proposte varie correzioni. Eppure la mano che ha tracciato il segno è tutto fuorché una mano inesperta.
Il passo in avanti decisivo venne fatto nel 1927, grazie a Vincenzo De Bartholomaeis, o meglio, grazie a una sua studentessa universitaria del primo anno che fu la prima che si trattava di un indovinello e a risolverlo


Approfondimento sul sito della Biblioteca Capitolare di Verona

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